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Orientamento: da processo passivo a percorso di sviluppo

martedì 12 dicembre 2017 - 13:17

Di Giulia Citarelli

"Non si arriva mai tanto lontano come
quando non si sa più dove si va"

(Goethe)

 

 

"Un sistema umano può essere aiutato solo ad aiutarsi da sè", affermava Edgar Schein, sembra una premessa fondamentale per accennare ad alcune riflessioni metodologiche riguardo agli interventi di orientamento, siano essi rivolti a studenti in procinto di scegliere la tipologia di scuola superiore l'università o una professione.

Una questione che ci sembra cruciale è, infatti, quella relativa alla dimensione entro la quale si muove il rapporto tra l'orientatore o l'orientatrice ed il cliente poichè siamo dell'opinione che il posizionamento dell'orientatore nei confronti dell'attività e le sue premesse epistemologiche orienteranno, si perdoni il gioco di parole, inevitabilmente il suo intervento.


Veniamo all'esperienza "concreta": solitamente coloro che si occupano di orientamento hanno a disposizione diversi strumenti attraverso i quali indagare negli studenti, tra gli altri, le attitudini, gli interessi professionali, le abilità logiche, matematiche, linguistiche, la tipologia di motivazione nei confronti dello studio (...). Il possesso di tali strumenti può, talvolta, divenire un' affascinante tentazione per l' orientatore nell'assumere il ruolo di valutatore ed esperto del futuro dell'altro.
Il rischio, in questo senso, è che l'orientamento si riduca ad una prassi affermativa nella quale l'orientatore, in veste di esperto, esamina, attraverso alcuni criteri fondamentalmente eterodiretti, il profilo dello studente fornendo un giudizio orientativo su quale o quali percorsi sarebbero più opportuni per il suo futuro scolastico, universitario e/o professionale.


Una prassi affermativa è una prassi che genera risposte, che restringe, circoscrive e delimita scenari.


Ciò su cui si intende in questa sede proporre una riflessione è la possibilità di concepire, invece, l'orientamento come una "prassi interrogativa".

 

Interrogare l'altro, lo studente in questione, vuol dire non pretendere di conoscerlo in base ai propri criteri, restituendogli il suo ruolo di esperto di sé e concependolo come committente del processo di orientamento, vuol dire domandargli cosa è rilevante per lui, facilitare la scoperta delle proprie risorse e potenzialità inespresse. In altri termini, ascoltare al posto di valutare, aiutando il ragazzo o la ragazza ad ampliare le proprie prospettive al posto di restringerle, facilitare l' incremento di consapevolezza rispetto ai criteri con i quali sceglie di orientare il suo percorso futuro piuttosto che inglobarlo nei nostri personali criteri.


L'orientamento come prassi interrogativa giungerebbe, perciò, ad essere un processo che riuscirebbe nel suo intento nel momento in cui fosse in grado di far sì che il cliente si senta stimolato a porsi nuove domande su di sé e sul proprio percorso formativo e/o professionale futuro più che raccogliere un rassicurante "pacchetto di risposte".


Secondo questa visione, ne conseguirebbe che l'orientamento potrebbe beneficiare di un processo di co-costruzione degli obiettivi e delle modalità con i destinatari coinvolti, siano essi un gruppo classe, i genitori o un singolo studente fungendo, così, da "motore" per un percorso di sviluppo personale piuttosto che di attesa passiva.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Quaglino G. P. (2011). La scuola della vita. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Schein E. H. (2001). La consulenza di processo. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Telfner U. (2011). Apprendere i contesti. Raffaello Cortina Editore, Milano

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